Uno sguardo sulla scuola ai tempi del Covid-19

Dagli insegnanti agli alunni, tutte le sfide e le difficoltà che stanno attraversando gli utenti della scuola.

La chiusura delle scuole è stata una delle prime limitazioni a carattere nazionale introdotta dalle direttive governative. Un atto senza dubbio necessario. Forse persino tardivo. Una limitazione che ha anticipato solo di pochi giorni il blocco di altri settori, compreso quello più recente del commercio.

La sospensione della scuola in questo periodo ha interrogato un po’ tutti, insegnanti per primi, che dai dubbi e dal disorientamento iniziale sono passati all’ azione, prendendo questa situazione come una sfida, una missione.

Così sono state attivate piattaforme, avviate programmazioni, ci sono stati i primi gruppi WhatsApp, gli scambi di link e di infiniti contenuti multimediali… insomma una mole di lavoro che non tutti possono arrivare a percepire, a meno che in casa propria non si abbia un parente insegnate.

La figura dell’insegnante

Già, perché in tutto questo, la figura della categoria sopracitata è stata molto messa in discussione, soprattutto dalle famiglie degli alunni, divise in:

• Chi sostiene che in questo periodo gli insegnanti stiano ricevendo lo stipendio facendo poco o nulla.

• Chi sostiene che i propri figli stiano ricevendo troppi compiti e la fatica ricade sui genitori dal momento che tocca a loro seguirli a casa.

Insomma, nell’uno o nell’altro caso, gli insegnanti sbagliano.

Ma la verità è che non è facile, soprattutto in questa emergenza. Non è facile passare dallo stare a scuola seguendo la normale didattica per poi essere catapultati di punto in bianco in queste situazioni per le quali nessuno era preparato. È come saper andare in bicicletta e all’ improvviso ritrovarsi su una moto: è garantito sbandare.

Le parole di Enrico Galiano

Soprattutto insegnare è un’altra cosa ed è per questo che vi riporto le parole di Enrico Galiano, insegnante e autore, il quale per un attimo ci fa catapultare nell’universo degli insegnati, stravolto da questo grande imprevisto:

«Genitori in ansia perché vedono i propri figli ciondolare per casa indolenti e sfaccendati e, alla domanda “Ma non c’hai dei compiti da fare tu?” si sentono rispondere dai propri pargoli con un ghigno soddisfatto: “No, sul registro elettronico non c’è niente!”

Telefoni di insegnanti che sfiorano la temperatura di fusione a forza di tutte le vibrazioni provenienti dai nuovi gruppi WhatsApp creati all’impronta con gli studenti, perché il registro si impalla sempre e comunque è un inferno per le comunicazioni veloci e alla fine sempre da Zuckerberg tocca tornare.

Gente che ti incrocia e – rigorosamente a due metri di distanza – ti fa sapere con parole o con espressioni del viso ciò che pensa di te e del tuo lavoro: “Ecco, avete un’altra scusa per non lavorare!”

La parola casino, di fronte a tutto questo, assume i contorni del pallido eufemismo: perché semplicemente non eravamo pronti, nessuno ci aveva detto mai che sarebbe potuto succedere, e quindi chiediamo umilmente scusa, ci stiamo attrezzando, faremo quel che si potrà fare per non farveli più ciondolare per casa indolenti, ma.

Si può insegnare a distanza?

Sì, c’è un ma, grande almeno quanto la confusione che regna fra di noi in questi giorni di virus.

E il ma è che: non si può insegnare a distanza.

Ripetete con me. Non si può. Insegnare. A distanza

Istruire, sì. Inoltrare informazioni, certo. Trasmettere nozioni, anche.

Ma insegnare è un’altra cosa.

È per questo, soprattutto per questo, che siamo così spiazzati. Perché per chi non ha mai messo piede in una classe, forse, è facile immaginare la scena: le cose che devi dire, invece che farlo dalla cattedra, lo fai davanti a una webcam o un cellulare, e festa finita. E che ci vuole?

Ci vuole che insegnare non è questa roba qua.

Insegnare non è buttare dentro roba: che sia in un computer, in una piattaforma cloud o in una testa di un ragazzo. Insegnare è tirare fuori roba.

Insegnare non è mettere insieme ingredienti, un po’ di grammatica qua, un po’ di storia là: insegnare è mescolare. Muovere energia.

Insegnare non è accendere desktop o schermi di cellulari, ma accendere idee, fare domande, svegliare dubbi, far passare la luce.

Per cui sì: ci attrezzeremo, ci stiamo attrezzando, e studieremo nuove idee per fare scuola anche dall’isolamento in cui siamo: ma se siamo così in difficoltà in questo momento è perché sappiamo che insegnare è un’altra cosa.

Insegnare è una cosa che si fa in presenza. A distanza, è come chiedere a Messi di fare una partita ma senza pallone e senza avversari. A guardarlo da fuori sembra sempre calcio, o almeno lo ricorda, ma tu che ci sei dentro lo sai che è tutto un altro sport.

E lo sport dell’insegnante è uno sport che si gioca solo in un modo: insieme ai nostri ragazzi».

(Immagine di lasicilia.it)

Differenze in risalto

Ma dopo due settimane di didattica online, il problema vero non è più tanto “insegnare” da casa. Si, perché c’è un altro problema ancora più serio, che comporta la compromissione del concetto di inclusività, ovvero ciò che da sempre la scuola si pone come obiettivo principale.

Concretamente, quello che sta avvenendo sta andando a colpire i più deboli, esaltando le differenze:

• Tra chi ha un computer, una stampante, un telefono, un iPad e i genitori che si interessano, chiedono, sollecitano e chi invece ha i genitori che non hanno ancora capito bene, hanno soltanto un cellulare con la connessione zoppa, venti schede per materia, per ogni figlio e non le possono stampare, perché magari i figli sono tre o quattro. Non tutti hanno gli stessi mezzi, le stesse opportunità, chi è meno fortunato resta indietro.

• Tra chi ha difficoltà nell’apprendimento ad esempio i BES (bisogni educativi speciali) e i DSA (disturbi specifici dell’apprendimento) e chi no. La sospensione delle attività didattiche pone più a rischio i ragazzi con maggiori difficoltà di apprendimento -i quali non possono essere seguiti come meriterebbero- che tutti gli altri.

COVID-19 come opportunità di crescita

Potrebbe sembrare solo un elenco, questo, ma dietro si nasconde un vero problema ed una grave mancanza per il sistema scolastico e per i bambini che ne fanno parte.

Questa difficoltà non investe solo i bambini, ma anche gli insegnati, che si stanno interrogando da giorni su come fare per essere presenza per tutti in questo periodo, perché per loro la scuola è aperta a tutti, anche quando è chiusa per il bene di tutti.

(Immagine di viveresenigallia.it)

Il Covid19 è l’opportunità che la scuola può darsi per trasformarsi e fare un salto di qualità verso i ragazzi e verso i bisogni speciali di ciascuno.

È l’occasione per provare a capire come essere più inclusiva e centrata sugli studenti e non sui programmi da terminare.

L’augurio è che in questo tempo si discuta seriamente su come fare perché non ci siano più studenti di serie A e studenti di serie B o banalmente, cittadini di serie A e di serie B.

Perché la scuola è di tutti e, se così non fosse, abbiamo perso tutti.

A cura di Laura Imperato

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