È un’emergenza ormai globale quella delle sfide estreme sui social network, che spesso spezzano giovani vite, come, in queste ore, quella di un ragazzo di 17 anni morto in Pakistan travolto da un treno mentre stava realizzando un video da postare su TitTok.
Inoltre, la morte della bimba di 10 anni di Palermo, vittima probabilmente di una sfida su Tiktok, lascia tutti increduli e crescono gli interrogativi su come intervenire concretamente a tutela dei minori sui social network, anche attraverso norme di legge come ipotizzato da parlamentari e associazioni dei consumatori.
L’autopsia ha confermato che la piccola è morta per asfissia, proprio a causa di quella cintura stretta al collo, seguendo le regole di una challenge che sul social network assegna la vittoria a chi resiste di più senza respirare.
Gli inquirenti stanno cercando di sbloccare il cellulare della bimba per capire se qualcuno la abbia spinta a partecipare al gioco.
Sembra legata all’utilizzo della piattaforma cinese anche la sparizione di una 16enne di Regello (Firenze), che i genitori cercano dal 14 gennaio e ora sostengono essere scappata con una coetanea conosciuta proprio sul social network, a sua volta scomparsa dalla provincia di Pisa.
Quest’ultima su TikTok avrebbe tantissimi follower e in passato sarebbe stata accusata di aver bullizzato un giovane disabile, costringendolo a spogliarsi su Instagram.
Ora il mondo politico e diverse associazioni si interrogano su possibili interventi per tutelare i più piccoli anche se la tematica non è da circoscrivere solo a loro.
Ma chi tutela – o meglio, dovrebbe tutelare- i minori dai rischi dei social network?
La legge protegge i minori in questa emergenza social?
Il primo segnale di impotenza, il primo spreco di parole che pure dovrebbero avere il loro peso, è la legge.
Come al solito in Italia l’abbiamo, e anche molto severa: per utilizzare i social network devi avere compiuto almeno 14 anni, che possono diventare 13 se l’uso avviene sotto la supervisione dei genitori.
Probabilmente queste norme sono conosciute in poche famiglie e le statistiche dicono che quasi nessuno le rispetta.
Un sondaggio realizzato da Osservare Oltre (Associazione nazionale presidi ed eTutorweb) avverte che l’84% dei ragazzini italiani in età compresa tra i 10 e i 14 anni (non compiuti) possiede un profilo social.
Molti di loro, quasi un terzo, lo hanno aperto insieme con i genitori; il 91 per cento si arrabbierebbe molto con mamma e papà se intervenissero. Tiriamo le somme: la legge che dovrebbe tutelare i minori per l’abuso, e le possibili violenze, di piattaforme come Facebook, Twitter, Instagram e TikTok, è carta straccia.
Come se non ci fosse.
Con questa premessa c’è da aggiungere anche che, TikTok in Italia ha voluto fare anche un gesto più forte.
E ha deciso che sul suo social, dove gli utenti unici mensili nel nostro Paese si avvicinano ai 5 milioni, ci si può iscrivere già a 13 anni, e non a 14 anni come prevede la legge italiana.
È come se la Fiat dicesse che le sue automobili si possono guidare con il patentino (che si ottiene a 14 anni) riservato ai conducenti di motocicli e non con la patente (per la quale bisogna avere compiuto la maggiore età). Qualcuno ha fiatato di fronte alla prepotenza di TikTok?
Si è visto un magistrato che ha alzato un dito per segnalare un reato?
La legge italiana non vale per tutti?
Il Garante per la protezione dei dati personali?
Il secondo buco nero è la palude nella quale si muove, o finge di muoversi, il pachiderma del Garante per la protezione dei dati personali.
Già alla fine dello scorso anno, quindi molto prima della tragedia che ha ucciso Antonella, il Garante aveva aperto un’istruttoria contro TikTok.
Con argomenti molto fondati, e sempre a proposito del modo con il quale questo social network aggira sfacciatamente la legge nazionale.
Scarsa attenzione alla tutela dei minori, divieto di iscrizione ai più piccoli facilmente aggirabile, poca trasparenza e chiarezza nelle informazioni chieste agli utenti, impostazioni non rispettose delle norme sulla privacy.
Quanto basta, se confermato, per arrivare almeno a una super multa. E invece, a conferma della sua totale impotenza, il Garante per la protezione dei dati personali non ha ricevuto neanche una risposta da parte di TikTok.
E le sue contestazioni sono state sommerse dal silenzio tombale.
“Un provvedimento d’urgenza” contro l’ emergenza social
Dopo la morte di Antonella il Garante è tornato alla carica.
E questa volta lo ha fatto con un provvedimento d’urgenza con il quale si chiede di interrompere il trattamento dei dati degli utenti italiani (9,3 milioni) dei quali il social network non è in grado di verificare l’età.
Cosa paradossale e poco credibile, in quanto con le tecnologie a disposizione, TikTok avrebbe tutti gli elementi per fare i necessari controlli e tenere fuori dal suo perimetro d’azione i ragazzi sotto i 14, e non i 13, anni. Come prevede la legge italiana.
La mossa del Garante non è più, come nel mese di dicembre scorso, l’apertura di un’istruttoria, con i suoi tempi, ma un intervento di urgenza, che dovrebbe avere effetti immediati.
E invece ancora una volta TikTok ignora il provvedimento, valuta se rivolgersi a un tribunale ordinario.
E lascia trapelare la seguente indiscrezione: l’Autorità competente, in termini di tutela dei minori, non è quella italiana, ma quella irlandese, il paese dove, per non pagare tasse, TikTok ha la sua sede legale.
Così il soffocante cerchio dell’impotenza legale si chiude. Resterebbe, a questo punto, una sola soluzione, di forza.
Sospendere l’attività di TikTok in Italia, almeno fino a quando non ci sia la certezza sul rispetto della legge che vieta l’iscrizione ai minori di 14 anni e sulle contromisure messe in atto dal social network per applicarla.
Ma chi si assume una responsabilità del genere? Chi ha il coraggio, nel nome di una giusta causa, di sfidare il potere dominante di un colosso della tecnologia? E di farlo anche rischiando un’onda di impopolarità considerando la diffusione di questo strumento?
Chi protegge davvero i minorenni?
Intanto il nostro sconcertante senso di impotenza, dal pubblico si trasferisce al privato.
E qui non ci sono più norme, regole, leggi. Multe e istruttorie. No, ci siamo soltanto noi di fronte alla nostra coscienza, alle nostre responsabilità.
Possiamo fare qualcosa, individualmente, per fermare questa deriva?
Accidenti se possiamo! E non servono misure estreme, basterebbe un minimo di buon senso per seguire da vicino i ragazzi nel loro rapporto con i social. Per accompagnarli.
Per individuarne, insieme, i rischi. E anche per non escludere qualche paletto.
Questa azione, somma di comportamenti semplici quanto ragionevoli, però richiede due fattori di base che non vediamo all’orizzonte:
1. Una disponibilità in termini di tempo;
2. Il coraggio di affrontare il rischio di un conflitto con i figli.
Sono due cose che i genitori tendono a scansare e in questo caso non possono neanche chiedere aiuto alla scuola, che non ha gli strumenti, anche organizzativi, per vigilare sul rapporto adolescenti e social network.
Il tempo in famiglia, e per la famiglia, scarseggia. E quando c’è, si preferisce utilizzarlo per altro, non certo per svolgere una funzione educativa così delicata.
Con questi social si sta ripetendo, ad alcuni anni di distanza, il film che abbiamo già visto a proposito dell’invasione televisiva quando i genitori non consideravano più la tv un elettrodomestico, ma ne facevano l’oggetto che risolveva tanti problemi di gestione della vita familiare (la tv babysitter, la tv che teneva occupati i ragazzi e li distraeva, la tv che occupava tutto lo spazio della condivisione).
Con i social sta avvenendo la stessa cosa. Quanto al conflitto, la sola parola fa paura nelle nostre famiglie.
Viene considerata una sorta di profanazione di un precario equilibrio nel quale il padre si è trasformato in amico dei figli, compagno di giochi, e ha abdicato al suo ruolo.
E la madre arranca nel mettere toppe. Eppure, il conflitto non dovrebbe spaventare i genitori, specie quando hanno ragioni così importanti da affermare, anzi, dovrebbe aiutare i figli a crescere da persone autonome, responsabili e mature.
Inoltre, raggiunta l’età per utilizzare i social, i ragazzi vanno sempre seguiti basando tutto sul dialogo.
Come controllare l’uso dei social dei vostri figli
Il momento di Impostare insieme l’account e di leggere insieme la privacy policy, genitori e figli, è l’inizio dell’avventura per vostro/a figlio/a nell’app. È fondamentale che, dall’inizio, i vostri figli vi vedano accanto a loro nel confrontarvi sulle regole e i rischi di quest’app.
È fondamentale trasmettergli l’idea di un reale interesse da parte vostra, rendendovi disponibili a parlare della sua esperienza digitale con TikTok.
Continuando, ogni giorno, ad interessarvi all’esperienza dei vostri figli su TikTok e a condividere insieme la visione dei video che vi sono piaciuti, in tal modo ci sono maggiori possibilità che vengano a raccontarvi un video o un’interazione sul social che li hanno messi in difficoltà.
Infine, vi lascio 5 idee da mettere subito in pratica per tutelare l’account TikTok dei vostri figli:
1. Impostare l’account come “privato”, in questo modo potrete scegliere chi può vedere e interagire con i vostri video;
2. Utilizzate il filtro per i contenuti inappropriati;
3. Disabilitate la funzione “Duetto”;
4. Fissate un tempo limite per l’utilizzo dell’app direttamente dal pannello dell’account;
5. Parlate ogni giorno, fate domande e mantenete un dialogo aperto in famiglia.
A cura di Laura Imperato
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