Sono passati 10 anni da quando “The Social Network” di David Fincher ci raccontò della nascita di Facebook. Ora, a 10 anni di distanza, “Mainstream” di Gia Coppola fa il punto della situazione, mostrandoci cosa è diventato il mondo nel frattempo, come siamo cambiati, cosa ha realmente significato nella nostra vita, chi è arrivato in cima alla catena alimentare.
Tutto parte dalla bella Frankie (Maya Hawke), giovane e sperduta barista, orfana di padre da poco, costretta per mantenersi a lavorare in un locale malmesso sulla Hollywood Boulevard, dove ha il solo amico Jake (Nat Wolff) a fargli compagnia.
Tutto cambia quando sulla sua strada compare l’istrionico, carismatico ed imprevedibile Link (Andrew Garfield), cabarettista molto sui generis.
Assieme, i tre diventano un fenomeno internet con le loro performance, ma in breve tempo si troveranno di fronte alla realtà di un mondo in cui apparenza e realtà sono indefinibili, e dove il narcisismo e la falsità regnano sovrani…
Un film di un incredibile intensità
Mainstream è senza ombra di dubbio un film che grazie ad una sceneggiatura accurata e mai banale (firmata da Gia Coppola e Tom Stuart), va oltre il genere Indie a cui chiaramente fa riferimento anche visivamente per la fotografia di Autumn Durald Arkapaw.
Vira prima decisamente verso il film di formazione, poi abbraccia una dimensione molto più vicina al drammatico, al sociologico si potrebbe quasi dire. Quasi.
Perché di base il film della Coppola si collega in modo assolutamente palese a “The Social Network”, e non è un caso che ad intepretare la creatura mediatica di riferimento ci sia quell’Andrew Garfield, che a suo tempo fu per noi Eduardo Saverin, uno dei fondatori del colosso social.
Sembrano esserne passati 100 di anni da “The Social Network”. Ora oltre a Facebook, dobbiamo contare Instagram, Telegram, Pinterest, Twitter, YouTube, TikTok che è diventato un colosso…
Insomma, oggi ci sono una marea di altri mondi interconnessi, che hanno creato una nuova fauna conquistatrice dell’universo: gli influencer.
Ed è a loro che è “dedicato” il film della Coppola, a questo nuovo mondo di celebrità imprenditoriali, simboli di un’epoca fatta di edonismo, egoismo, immagine, insicurezza e ipocrisia come nessun’altra.
Andrew Garfield come non l’avete mai visto
Mainstream parte come un film sulla bella e triste Frankie, a cui Maya Hawke dona grande realismo, umanità, dolcezza ed una fioca ma visibile luce interiore che ne sottolinea insicurezze ed ingenuità.
Ma Andrew Garfield (conosciuto anche come il protagonista di “The Amazing Spiderman”) è il mattatore dei 95 minuti, è totem di quel mondo di celebrità da social che ormai svolgono un ruolo di messia in un mondo che ha una nuova e sola religione: l’identità virtuale.
Come questa compenetri e bene o male si sostituisca a quella fisica, reale, viene mostrato nella corsa al successo di questo stand-up comedian clamorosamente talentuoso e geniale, ma anche narcisista, manipolatore, bugiardo ed egoista.
A conti fatti, a 10 anni dal film di Fincher, Gia Coppola con Mainstream ci permette di vedere il drago che abbiamo cresciuto, il mostro a cui non abbiamo staccato la testa, e ci ricorda ancora una volta che avanzamento tecnologico e progresso sono due cose diverse.
E come in sostanza, questa nuova categoria, sia abitata al 90% da persone prive di ogni talento, a ben pensarci è incredibile come possano essere seguite.
Una generazione senza empatia
Nessuno sconto, nessuna scusa, nessun alibi in Mainstream per le nuove generazioni di zombie, falsi, ipocriti, commedianti senza talento, senza ideali o sogni se non quello di apparire, fare soldi facili, nutrire un ego che non poggia su alcun reale bagaglio artistico.
Effetti speciali, materialismo, look improbabili, il trasformare il proprio nulla in un evento da monetizzare, da seguire.
La vita oggi è su uno smartphone, non è più fuori, nella vita reale, non è più connessa a valori se non quelli del momento, non conosce né empatia per gli altri né dignità se non quando va di moda.
E tale rimprovero vive nella sfiga esistenziale di Jake (un bravo Nat Wolff), condannato a perdere in campo esistenziale e sentimentale, proprio perché non è un narcista commediante e manipolatore, di quelli che piacciono a ragazze insicure come Maya, ma in definitiva soprattutto al pubblico.
Contano le abilità sociali e la capacità seduttiva, il resto passa in secondo piano, conta saper irretire una folla al proprio “Mein Kampf”, e se ci pensiamo, oggi uno come Hilter per come siamo messi avrebbe dieci volte il potere che ha avuto.
Un film cattivissimo senza un vero cattivo
Eppure, per quanto possa sembrare assurdo, pure il brillante ed insopportabile Link, non è in realtà un cattivo.
È solo uno dei tanti narcisisti che da sempre di fronte al successo e ai soldi, si dimentica del vero e proprio “io” diventando sia “Deus ex Machina” degli eventi, sia vittima di essi.
Link è motore di un meccanismo che infine riconosce, abiura e odia pur sapendo di farne parte. È ipocrita eppure anche incredibilmente coerente, così come lo siamo tutti noi, che usiamo smartphone da centinaia di euro per scrivere su Facebook che Facebook stesso è inutile o che non esiste democrazia visto che non possiamo inneggiare ai peggiori fascismi, ma possiamo “solo” scriverli e condividerli in bacheca.
La vita cuori e like, le emoji, la dittatura dello smartphone, il valore della vita misurato con l’indice dei follower…
È la dittatura, ci piaccia o no, della social media generation, di influencer buoni a tutto, pronti a darti le dritte su come cucinare, come vestirti, come giocare, che musica ascoltare. E solo così sei nel Mainstream, in fondo nel tuo tempo.
Le parole della regista
“Ho voluto raccontare una storia immersa nella cultura della mia generazione e dei ventenni di oggi, la manipolazione, l’influenza dei social, ho cominciato ad esplorare quel mondo e confesso che ero piena di pregiudizi che via via sono svaniti.
Con questo racconto ho provato ad entrare in quella che è la dimensione culturale del nostro tempo ma ci tengo a dire che non ci sono giudizi. Eravamo io e il mio cast pronti a detestare queste persone, ma poi li abbiamo solo rappresentati”.
Al centro c’è Instagram, Youtube, TikTok, i video vuoti, divertenti, spiritosi, senza capo né coda che ipnotizzano i ragazzi di oggi, magari orientano il loro modo di essere, di vestire, di truccarsi, elevano a personalità dei “nullatalenti” e sono pronti a cambiare idolo con un’onda di pollici in giù.
Ma esiste, ci ricorda Link per tutto il tempo, una reale e tangibile differenza tra ciò che siamo sui social e la vita reale.
Perché siamo carne e sangue, non siamo solo effetti visivi o i likes, essi hanno un effetto su di noi solo perché noi glielo permettiamo. Ed un giorno, in futuro, dovremo spiegare ai nostri nipoti come abbiamo fatto a farci fregare in questo modo le nostre vite.
Insomma, un film molto promettente che riflette in maniera spaventosa sul nostro presente e sul nostro futuro, servirà come monito per le future generazioni?
Non resta che aspettare la sua uscita!
A cura di Laura Imperato
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