Sono trascorsi diversi mesi da quando Clubhouse è sbarcato in Italia esclusivamente per i sistemi IOS, subendo anche un calo importante di utenti. Da qualche giorno però l’applicazione è stata resa accessibile anche ai fruitori dei sistemi Android, ma molti non hanno il coraggio di essere utenti attivi… perché? Scopriamolo insieme!
Il fenomeno Clubhouse che prende piede
Qualche articolo fa abbiamo già avuto modo di parlare di Clubhouse.
Ma perché tutti ne parlano e poi pochi hanno il coraggio di utilizzarlo? Cosa si nasconde dietro tale atteggiamento?
Sembrerebbe che la risposta si nasconda in qualcosa di molto più importante, specialmente dal punto di vista sociologico…
Possiamo infatti dire che Clubhouse, il nuovo social network basato interamente sulla voce, rende impossibile nascondersi: non c’è traccia delle immagini perfette e delle didascalie a cui ci ha abituati Instagram né dei leoni da tastiera che popolano Facebook.
Su Clubhouse parla solo chi ha qualcosa da dire. E infatti la maggior parte degli utenti tace. Sarà che tutt’un tratto ci preoccupa dire la nostra perché ci mettiamo la faccia, la reputazione e l’identità?
La risposta è sì. O meglio, questa è la prima impressione che ho avuto quando, come tantissimi utenti incuriositi dal fenomeno, mi sono iscritta al social network.
Cosa posso appurare? Sicuramente che è un posto “serio” e questo lo si avverte fin da subito: ci sono delle regole da rispettare, con pena l’esclusione.
In primis, durante la registrazione, il social chiede all’utente di digitare il proprio nome e cognome.
Infatti la grafica che appare per registrarsi cita le seguenti parole:
“Le persone usano nomi reali su Clubhouse 🙂 Grazie!” Ed è qui, a pochi secondi dopo aver scaricato l’app, che si comincia a intuire di essere in un territorio nuovo dal solito: in un’era popolata da nickname e profili fake, il fatto di utilizzare la propria identità ha in sé qualcosa di rivoluzionario. Su Clubhouse non ci si nasconde. Un bel problema per chi è abituato a nascondersi dietro ad uno schermo, vero?
Ma procediamo con la registrazione
Dopo aver spuntato i miei interessi da una lunga lista (dalle credenze religiose agli sport preferiti a temi come matrimonio e crescita personale), e in base alle persone che seguo, l’algoritmo seleziona una serie di “stanze” in cui si stanno affrontando in diretta argomenti che pensa potrebbero interessarmi.
Così mi trovo di fronte a room per specialisti del settore come “11 Trend Tech da tenere d’occhio” o stanze in cui vengono trattati temi più leggeri come “Caffè e argomento”.
Certo, il titolo della room deve essere allettante perché è quello – insieme a qualche nome più o meno noto – a convincermi ad entrare. Una volta dentro, sento qualcuno parlare e qualcun altro rispondere.
Ma a fronte dei pochi utenti attivi, posizionati visivamente più in alto nella “room”, noto una schiera di “others in the room”, molto più folta: sono gli utenti che ascoltano, quelli che a volte decidono di abbandonare silenziosamente la conversazione grazie al pulsante “Leave quietly” (lascia silenziosamente). Sono quelli che non hanno (ancora) il coraggio di parlare.
Cos’è che spinge gli utenti a rimanere in disparte e a non intervenire nella conversazione?
In un’epoca in cui tutti sui social sembrano avere qualcosa da dire è strano vedere in ordine: persone rimanere al proprio posto; avere un reciproco rispetto fra gli utenti (la cosiddetta netiquette); alzare la mano per dire qualcosa (c’è un pulsante apposito per intervenire).
Ancora più strano è comprendere che si possono scoprire molte più cose di un utente quando è lui stesso a parlare rispetto a quando lo si conosce soltanto tramite le foto che pubblica o ciò che scrive. Infatti, nelle room di Clubhouse, quando si prende la parola è buona abitudine presentarsi.
È così che ho scoperto che ad esempio dietro al nome Alessandro si nascondeva un giovane ragazzo di 20 anni che vive a Reggio Emilia ed è all’ultimo anno di economia e commercio.
Abbiamo frequentato la stessa room su argomenti di finanza: all’inizio lui aveva la voce timida, ma poi scambiando quattro chiacchiere con gli altri utenti, si è sciolto. In quella stessa room si è parlato di cose serie, ma anche del più e del meno. In poche parole, ci si conosce.
Si fa quello per cui i social network sono stati inventati: fare rete, socializzare. Un bisogno che la pandemia ha acuito e che ora trova finalmente uno sfogo.
L’unico limite è quello di uscire allo scoperto: senza fare un passo fuori dal proprio guscio, il rischio è che a parlare siano gli altri. O sempre gli stessi.
Ma il mondo aveva davvero bisogno di un altro social network?
In un articolo su Forbes dedicato a Clubhouse viene posta proprio questa domanda.
La risposta è: “Se puoi inserirti nel dibattito su un tema di cui sei appassionato, in diretta, da qualsiasi parte del mondo, e avere la possibilità non soltanto di ascoltare alcune delle persone più interessanti e informate sull’argomento, ma anche di conversare con loro, lo faresti?
Questa è la premessa (e la promessa) di Clubhose”, spiega il giornalista Brian Solis.
Se il social network fondato nell’aprile del 2020 in Silicon Valley prospererà o sarà solo un fuoco di paglia è presto per dirlo: al momento, con i suoi due milioni di iscritti, e con nomi importanti tra le file di iscritti come quello di Oprah Winfrey, è un fenomeno da tenere d’occhio.
E salire sulla giostra fa gola a molti. Quindi sì, forse ne avevamo proprio bisogno, soprattutto perché si tratta di un social che per la prima volta lascia lo spazio alla trasparenza, alla realtà e alla lealtà fra utenti, oltre che essere uno spazio fortemente formativo.
Sarà questa la svolta che ci educherà ad un uso responsabile dei social? Sicuramente è impossibile prevedere se tutto il rigore che avvolge Clubhouse e l’educazione sfoggiata dai suoi utenti rimarrà un marchio di fabbrica: infatti le room dedicate ad argomenti come il calcio, il gossip o la politica sono numerose, a dimostrazione che “le chiacchiere da bar” continuano ad avere il loro fascino.
L’enigma sarà capire se i leoni da tastiera resteranno al loro posto o se, invece di digitare forsennatamente sproloqui, accenderanno il microfono e inizieranno ad inveire ad alta voce. Al momento, l’ipotesi sembra lontana anni luce dalla compostezza di Clubhose.
A cura di Laura Imperato
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