Catcalling: una brutta pratica che fa fatica a morire

In questi ultimi giorni è ritornato in voga più che mai il dibattito sul triste fenomeno del catcalling. Di cosa si tratta e perché se ne sente parlare? Cosa fare (o non fare) a riguardo? Scopriamolo insieme.

Che cos’è il catcalling?

Catcalling è un termine preso in prestito dall’inglese americano. L’espressione viene da «catcall», uno strumento che si usava a teatro nel XVII secolo, in Inghilterra.

Serviva al pubblico per esprimere disapprovazione, e produceva un suono stridulo, come il verso di un gatto (cat) arrabbiato. Oggi questa espressione viene utilizzata per indicare un fenomeno ben più squallido, che fa accapponare la pelle.

Infatti, forse, sarebbe meglio chiamiamolo come merita: molestia da strada. Perché l’inglese non va bene? Perché conferisce una patina di attualità e fornisce un’attenuante.

Catcalling vuol dire molestare una donna per strada da parte di estranei con fischi, suonate di clacson, gridolini, battute, proposte.

Un fenomeno a cui ogni persona, nella maggior parte dei casi donna, è stata soggetta almeno una volta nella vita

Una brutta pratica, che non va confusa con i banali complimenti che potrebbero anche fare piacere.

Quando si subisce il catcalling, infatti, la sensazione che prova la donna non è certo quella di sentirsi lusingata o apprezzata, anzi.

Semmai quello che si prova, nella migliore delle ipotesi, è un profondo disagio, che si tramuta in vera e propria paura se ci si trova da sole, magari di sera, per strada a ricevere l’indesiderata attenzione.

Già nel 2015, secondo uno studio condotto dal movimento contro lo street harassment “Hollaback!” e dalla Cornell University, il 79% delle intervistate in Italia ha subito molestie per strada già entro i 17 anni.

L’indagine riferisce come le emozioni maggiormente suscitate nelle donne dal catcalling siano depressione e bassa autostima, mentre altre conseguenze includono un cambiamento dello stile di abbigliamento o la scelta di non percorrere certe strade, di socializzare o rincasare a un certo orario.

Un fenomeno dalle radici sbagliate

Il problema è che la cultura che ci ha allattati ha trasmesso l’idea che se sei una donna, ricevere apprezzamenti o commenti qua e là per strada è assolutamente normale.

Come a dire che esisti, sì, ma in funzione dello sguardo maschile.

(Immagine di ilprimatonazionale.it)

Se ne è parlato anche di recente, per via delle dichiarazioni di Raffaele Morelli a RTL 102.5: “Se una donna esce di casa, e gli uomini non le mettono gli occhi addosso, deve preoccuparsi, perché vuol dire che il suo femminile non è presente in primo piano,” ha affermato lo psichiatra in radio, suscitando giustamente molte reazioni.

Quando si parla di catcalling sui social, però, si assiste sistematicamente alla minimizzazione o negazione del fenomeno. Commenti da uomini e donne, la metà dei quali vanno solitamente contro la vittima, seguendo diverse modalità: dallo sminuire il problema a additare la vittima insinuando che ci sia qualcosa che non va in lei se non “sa apprezzare” quei “complimenti” ricevuti per strada.

(Immagine di l’aquilablog.it)

Molestie che non sono reato… e che sono anche sminuite in italia

Sullo sfondo di tutte queste molestie di strada al limite della decenza, l’Italia è uno dei pochi paesi a non avere una legge che tuteli le vittime di catcalling.

In Francia è reato, stessa cosa nelle Filippine e in alcuni stati degli Stati Uniti.

E non solo, è punibile legalmente anche in Belgio e in Portogallo.

L’Italia, purtroppo come in molte altre battaglie per i diritti, è rimasta indietro di molti anni, queste richieste sacrosante per la sicurezza di tutti, sono infatti considerate superflue e non strettamente necessarie, ma non solo: in un’intervista Lorenzo Gasparrini, scrittore, filosofo e attivista, spiega che il catcalling viene spesso banalizzato e derubricato come semplici apprezzamenti senza alcun intento di molestia e per questo in Italia tale fenomeno è del tutto sminuito, quotidianamente, attraverso dei modi di dire, di fare o di pensare.

Ho voluto riprenderli ed elencarli di seguito.

Forse occorre conoscere tali modi di pensare, per sperare di estirpare il catcalling dalla nostra quotidianità e per cominciare a smuovere un cambiamento in merito.

1. “Fatti una risata, prendila con più leggerezza, che sarà mai!”

“Sminuire il problema è un modo per sminuire la persona,” spiega Gasparrini.

Dato che il catcalling parte da una disparità di potere (qualcuno si arroga il diritto di poter parlare pubblicamente come vuole del corpo altrui).

Dire che questo non è un problema o è una cosa da ridere significa voler nascondere quella disparità, negarne l’esistenza. Quel diritto nessuno può pretenderlo come fosse una propria ‘libertà’, perché di fatto è un abuso e soffoca una libertà altrui.

2. “Se non sai apprezzare un complimento, hai dei problemi.”

Occorre precisare che il catcalling non è mai un “complimento”, anzi: nasconderlo attraverso un complimento è un modo per fingere che poi sia la donna a non aver capito le ‘intenzioni’ dell’abusante, che erano buone.

(Immagine di salvisjuribus.it)

3. “A me non dà fastidio se mi fanno complimenti per strada, stai esagerando.”

Il proprio gusto privato e personale non può mai tramutarsi in una regola pubblica o generale.

I sentimenti negativi innescati dal catcalling dovrebbero del resto già far capire come una donna non si senta sistematicamente lusingata dagli approcci per strada: può accadere che lo sia, ma non per tutte è così.

Quando qualcosa a noi sembra innocua, ma ferisce una categoria di persone (non due o tre al mondo), la prima cosa da chiedersi, invece di negare il loro sentimento di sofferenza, dovrebbe essere: ‘quale punto di vista mi sto perdendo?’.

4. “Se uno ti dice solo ‘ciao bella’ non è una molestia, dai…”

Non riconoscere il legame tra forme di abuso diverse è un altro modo per nasconderle, spiega Gasparrini. Se uso una metafora elegante “Ciao bella” o un linguaggio volgare, la sostanza non cambia.

(Immagine di 4muses.blogspot.com)

5. “Di questo passo non si potrà più dire nulla a voi donne!”

Generalizzare gli atti linguistici è un altro modo per nascondere quando essi siano abusi. Nessuno vieta agli uomini di parlare delle donne o alle donne; vogliamo che non abusino di poteri che nessuno gli ha conferito, e che non hanno il diritto di conferirsi da sé.

6. “Sì ma noi uomini non siamo tutti così! Io non ho mai molestato una donna.”

Il problema non è se gli uomini sono così o no, il problema è quello che molti uomini fanno, precisa il filosofo e attivista Gasparrini. E se fanno schifo, spargono questo schifo su tutti i rappresentanti del genere, perché hanno in comune lo stesso sguardo sulle donne, costruito da solo senza consenso.

Non si sta insomma dicendo che tutto il genere maschile abbia una colpa—questo è il fattore che spesso fa andare in difensiva gli uomini quando si parla di molestie.

Il punto è mettersi nei panni altrui—le donne, in questo caso—e riconoscere di avere un privilegio ereditato per via culturale, in una società che a lungo ha attribuito agli uomini maggiori diritti e opportunità delle donne in diversi ambiti. Con quel privilegio tu ci sei nato, lo hai.

Questo non vuol dire che come uomo hai anche ereditato una colpa.

Però se non fai niente per cambiare questo sistema di disparità di potere, magari facendo notare ad altri quando attuano comportamenti nocivi, hai quantomeno una responsabilità dentro quel sistema.

(Immagine di ck12.it)

Fermare il catcalling è una responsabilità di tutti

Forse tutti questi meccanismi saranno difficili da disinnescare, forse la legge farà passi prevedibilmente molto lenti… ma non bisogna arrendersi. Perché il vero cambiamento parte dalle piccole cose, dai piccoli gesti, che solo noi possiamo scegliere di bloccare attraverso il vissuto quotidiano.

Il punto è che il modo per affrontare questo fenomeno sociale non dovrebbe essere chiedersi come una donna possa reagirvi al meglio, ma come far capire a quegli uomini che fanno catcalling che si tratta di una molestia.

E se non ci pensa la legge, tocca solo a noi scegliere.

A cura di Laura Imperato

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