Come il #BlackOutTuesday dovrebbe influenzare le persone senza rischiare di diventare soltanto un virtual trend. A noi la scelta.
Niente colore, nessuna foto. Solo uno schermo nero. Tantissimi hanno preso parte alla protesta silenziosa #BlackOutTuesday rilanciando anche il movimento Black Lives Matter (letteralmente “le vite nere contano”), nato nel 2013 in America e impegnato nella lotta contro la discriminazione razziale.
Che cos’è e come nasce #BlackOutTuesday?
Si chiama #BlackOutTuesday l’iniziativa nata sui social con lo scopo di protestare in maniera silenziosa e per riflettere sul tema razzismo dopo l’episodio di George Floyd, ucciso durante un arresto violento della polizia a Minneapolis.
Una serie di schermi neri, accompagnati dall’hashtag, ha popolato i social Instagram e Twitter lo scorso martedì.
Tutto è partito da Jamila Thomas, dirigente dell’etichetta discografica Atlantic Records, e dalla sua ex collega Brianna Agyemang, le quali hanno proposto inizialmente l’hashtag #TheShowMustBePaused, come forma di protesta da parte del mondo della musica americana e consisteva in un appello a non pubblicare nuovi contenuti artistici, in modo da concentrare l’attenzione sulle rivendicazioni delle proteste in corso in tante città statunitensi.
Successivamente, l’iniziativa è diventata molto partecipata e si è allargata in tutto il mondo, riversandosi sui social con la modalità degli schermi neri.
Meglio usare #BlackOutTuesday o #BlackLivesMatter?
Ormai la giornata di martedì è trascorsa, ma si può sempre partecipare simbolicamente a questa forma di protesta…
Attenzione però a non cadere in errore provocando più danni che altro!
Sì, perché in tantissimi utilizzando #BlackLivesMatter hanno ostruito con infinite immagini nere un fortissimo canale di comunicazione, dove veniva documentato l’andamento delle manifestazioni e dove erano raccolte testimonianze o tutte le notizie di prima mano sulle minoranze negli Stati Uniti.
Il danno risiede nel fatto che stando ai dati di martedì, l’ondata di quadrati neri non sembrava accennare a fermarsi.
Motivo per cui (per chi ha già postato la foto con quest’hashtag) sarebbe opportuno “liberare un po’ di spazio“: per farlo, si consiglia di editare il post, rimuovendo l’hashtag #Blacklivesmatter.
Questo lascerà intatto il post sul vostro profilo ma pulirà lo stream degli hashtag utili per monitorare la situazione.
Dunque, in definitiva, meglio utilizzare l’hashtag #BlackOutTuesday.
Perché dal “tutto” si rischia di passare al “niente”?
L’iniziativa lanciata ha un significato molto importante, è dettata da alte intenzioni: quelle di riflettere sulle discriminazioni razziali.
In questo momento, l’hashtag #BlackOutTuesday vuol dire tutto, ma rischia di non significare niente per molte persone, già tra una settimana o due… o anche subito.
C’è chi ha fatto uso dell’hashtag solo per seguire un trend, quando in realtà si mostra totalmente indifferente all’argomento, o peggio, non ha riflettuto nemmeno per un minuto sulla vicenda.
Condividere questi contenuti permette di creare consapevolezza, ma questa consapevolezza non serve a nulla se non viene associata ad una presa di posizione attiva nella vita quotidiana.
Oltre a puntare il dito contro gli Stati Uniti e i loro problemi, perché non fare un primo passo e prendere coscienza di cosa succede a casa nostra?
Se da una parte l’attenzione riservata all’omicidio di George Floyd e alle proteste in corso è alta, dall’altra è facile notare come lo stesso interesse non ci sia per ciò che succede in Europa o direttamente in Italia.
“In Italia non c’è tutto questo razzismo”
Molti sostengono che vicende simili in Italia non si verificano e che non c’è “tutto questo razzismo”. Invece, c’è da sapere che anche l’Italia ha una sua storia di razzismo, e gli episodi discriminatori o violenti nei confronti della popolazione nera o di ogni altra minoranza sono frequenti tutt’oggi.
Non si tratta solo di atti plateali come gli spari della notte del 30 maggio contro un centro migranti in provincia di Brescia o di diritti negati (vedi decreti sicurezza e politiche migratorie, caporalato, cittadinanze rifiutate) ma anche di episodi della vita di tutti i giorni. Si tratta di pregiudizi.
Essere più consapevoli, tanto dei propri privilegi quanto del vissuto altrui, è il primo passo da fare per contrastare tutto ciò.
La discriminazione in Italia non scherza: le minoranze vengono ancora scimmiottate, derise, schivate, sottovalutate… come se il colore della pelle o alcune scelte di vita determinassero ciò che una persona ha nel cuore o il suo valore.
Tutto questo non è ok. Come non è ok quando viene offerta un’assistenza sanitaria peggiore al rom o allo straniero; oppure quando arriva la signora nera dolorante e il medico si rifiuta di alzarsi dalla brandina per visitarla perché “questi profughi si stanno solo approfittando di noi”…
Rispetto per le minoranze
Ci sarebbero tanti, troppi esempi ancora da citare che non basterebbero per un solo articolo, tutti vissuti da minoranze, da persone che al mattino si svegliano col pensiero di dover uscire ed essere calpestati dal mondo esterno.
Questo per dire che quello che succede negli Stati Uniti non è ok ed è importante che se ne parli, ma che se ne parli anche in Italia, a casa nostra, e che non siano solo parole, ma fatti!
Non sarebbe male se da questa vicenda si creasse una coscienza collettiva pronta a intervenire quando si verificano queste situazioni.
Tutto dipende da noi. Il razzismo si ferma con noi e con le nostre azioni.
Allora sì, che daremmo pieno senso all’hashtag, senza ridurlo al nulla o ad una semplice parentesi del nostro feed Instagram.
A cura di Laura Imperato