Con tutti gli imballaggi usati nella delivery e al supermercato, la plastica sembra essere tornata di moda. Ecco come il coronavirus rischia di farci tornare indietro su plastica monouso e sostenibilità.
In questa lunga quarantena molti di noi si sono concessi almeno un delivery (pasto da asporto) dal proprio ristorante preferito.
Comodi, a casa, abbiamo ricevuto piatti caldi o freddi, pizze o sushi, spesso racchiusi in scrigni di plastica: a volte lo era solo il coperchio, altre ancora tutto il packaging (confezione).
Forse non ci avete pensato, ma il delivery potrebbe essere una delle ragioni per cui stiamo facendo passi indietro sulla questione plastica.
Qualche calcolo
Fino a questa pandemia, i numeri dei materiali biosostenibili parlavano di una crescita vertiginosa. Un rapporto sulle bioplastiche, che prende in considerazione il periodo che va dal 2012 al 2017, mostra una crescita di produzione dell’86% e di una previsione di un altro 15% per il 2018.
In un altro studio, nel 2026 le produzioni dovrebbero aumentare di un altro 26%. Questi dati incoraggianti potrebbero, però, subire un calo a causa del Covid-19. Per dirla semplicemente: la situazione economica è grave nel settore della ristorazione, che potrebbe ridare nuova vita alla classica, economica, non sostenibile plastica.
Mentre dall’altra parte, la Grande Distribuzione Organizzata sta vivendo un periodo d’oro per quanto riguarda packaging monouso, ma qui il discorso economico incontra quello sanitario.
Tutto in pausa
Tutto ciò, fino al Covid-19. Per molti settori, la condizione per tornare alle proprie attività è quella di dotarsi di dispositivi monouso. Secondo la normativa Inail, ad esempio, i parrucchieri dovranno essere in possesso di “borsa/sacchetto individuale monouso per raccogliere gli effetti personali del cliente da restituire al completamento del servizio” e dovranno “fornire al cliente durante il trattamento/servizio una mantella o un grembiule monouso ed utilizzare asciugamani monouso; se riutilizzabili, devono essere lavati ad almeno 60°C per 30 minuti. Una volta utilizzati debbono essere posti e conservati in un contenitore con un sacco di plastica impermeabile poi chiudibile”.
Per quanto riguarda i bar e i locali, i prodotti spesso vengono serviti in contenitori raramente smaltibili nella raccolta differenziata. I servizi alla persona che non possono garantire la distanza interpersonale consentita, come i centri per disabili o le case di riposo, devono dotarsi di camici di plastica monouso per tutti gli operatori. Insieme a guanti e mascherine, questi ultimi devono essere buttati nell’indifferenziata, possibilmente previo inserimento in un sacchetto di plastica chiuso.
L’utilizzo di questo materiale plastico non può essere ridotto. Essendo ad alto impatto ambientale, necessita però di norme specifiche per essere smaltito correttamente.
Se tutti le utilizzassimo, ci troveremmo ogni giorno a dover smaltire 40 milioni di mascherine chirurgiche monouso. Essendo composte da più materiali, quali il ferretto sul naso e gli elastici sulle orecchie, anche sanificandole non potremmo mai differenziarle.
Parliamo di 120 tonnellate circa di materiale plastico al giorno (senza considerare guanti e camici) nelle nostre discariche. Se nella fase acuta dell’emergenza pandemica era comprensibile che la questione passasse in secondo piano, alla lunga questo rappresenta un problema al quale bisogna trovare una soluzione.
“Il problema non risiede tanto nella plastica, quanto nello smaltimento”
Secondo il dottor Stefano Aliani, ricercatore in Italia per l’Ismar-Cnr di Lerici ed esperto di Oceanografia fisica e chimica, il problema non risiede tanto nella plastica, quanto nello smaltimento.
Tanto per capirci meglio, il dottor Aliani fa l’esempio dei caffè: “La tazzina in plastica di caffè viene smaltita malissimo, per esempio. Oggi, che è spesso d’asporto, una volta bevuto lo butti in un comune cestino in città, ma non c’è niente di più sbagliato. Dovrebbero esserci dei centri di raccolta, ma spesso non c’è nemmeno il cestino della differenziata nello stesso bar. Parlando di monouso, lo stesso problema di smaltimento hanno guanti e mascherine, che tendiamo a buttare nel primo cestino disponibile, col rischio che finiscano negli oceani. Nei mari abbiamo trovato 70 tonnellate di plastica a livello globale. Il 12%, solo in Italia, è rappresentato dai contenitori monouso. Ma è sicuramente una stima al ribasso, perché spesso ci troviamo pezzi piccolissimi di plastica che potrebbero essere di imballaggi monouso.”
Perché produttori e consumatori scelgono la plastica in tempi di Covid-19?
I motivi sembrerebbero due.
I dati a livello globale possono già confermarlo: Bloomberg (un’agenzia di stampa internazionale) riporta di come in Germania due aziende di packaging in plastica abbiano aumentato a doppia cifra di percentuale la produzione, mentre una statunitense di polistirolo ha aumentato il profitto del 55%. L’idea del consumatore è che la plastica fungerebbe da barriera per il virus, rispetto alla carta.
Ma sulla sicurezza della plastica in questi tempi di pandemia, arriva uno studio condotto dal New England Journal of Medicine, e afferma come il virus riesca a sopravvivere sulla plastica – seppur indebolito dopo sette ore – per 72 ore.
La richiesta di plastica monouso proviene maggiormente dalla ristorazione. In questo periodo le vendite dei contenitori per asporto in plastica sono aumentate e questo confermerebbe la tendenza del settore a preferire il risparmio su un certo tipo di servizio, poiché sul packaging monouso sostenibile c’è un’incidenza di 20/30 centesimi in più rispetto ai contenitori di plastica tradizionali. Il problema si porrebbe veramente quando si parla di grandi numeri: forse, gli esercenti capiscono che bisogna spendere un po’ di più per alzare la qualità.
Intanto ricordiamo che la UE, che aveva deciso di bandire la produzione di plastica monouso a partire dal 2021, sembra non voler rimandare la messa in vigore della legge.
Che significa dare una bella lezione all’Italia, tra i maggiori produttori di plastica monouso in Europa. “I produttori chiederanno sempre di più proroghe alla UE, giocando sul fatto che non ci sono alternative sicure come la plastica,” conclude il dottor Stefano Aliani.
Noi, nel frattempo, cerchiamo di ricordarci come sono stati questi giorni con l’aria pulita, cerchiamo di capire che differenziare nella maniera giusta può cambiare le cose e laddove fosse possibile, optiamo sempre per una scelta di prodotti ecosostenibili, come delle mascherine di stoffa sanificabili piuttosto che usa e getta.
A cura di Laura Imperato
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