Chi di voi non vedeva l’ora di riprendere contatto con il mondo reale, la strada, la luce del sole e il tepore della città o del quartiere? Eppure, all’atto pratico, sono state e sono ancora centinaia le persone che si sentono invadere da una sensazione di angoscia alla sola idea di varcare la soglia di casa.
Voglia di voler restare ancora in quarantena; ansia di dover riprendere gli impegni al di fuori delle pareti domestiche; paura di uscire nuovamente in strada… Questa dimensione emotiva in psicologia è chiamata sindrome della capanna e negli ultimi giorni sta colpendo un gran bel numero di persone.
Questo e molto altro è ciò che caratterizza questa sindrome. Vediamo in che cosa consiste e con quali strategie si può affrontare.
Che cos’è la sindrome della capanna?
La prima cosa da chiarire è che si tratta di una reazione normale: non si tratta di un disturbo psicologico. Aver trascorso tante settimane isolati ha abituato il nostro cervello a quella sicurezza che troviamo solo tra le quattro pareti domestiche.
Le prime descrizioni cliniche della sindrome della capanna risalgono al 1900, epoca della corsa all’oro negli Stati Uniti. I cercatori erano costretti a passare mesi interi all’interno di una capanna.
L’isolamento, dettato dalla necessità di concentrare l’attività in determinati periodi dell’anno, faceva sentire i suoi effetti: rifiuto di tornare alla civiltà, sfiducia nei confronti del prossimo, stress e ansia.
Quali sono i suoi sintomi della sindrome della capanna?
Un quadro sintomatologico comune anche nei guardiani dei fari e che ben si adatta all’attuale situazione di quarantena. Gli psicologi hanno quindi rispolverato la sindrome della capanna per spiegare la realtà che in questo momento molte persone stanno vivendo.
Come si può riconoscere la sindrome della capanna?
- Uno dei sintomi più comuni è la letargia. È tipico di questa condizione sentirsi stanchi, con braccia e gambe intorpidite, necessità di lunghi pisolini e difficoltà ad alzarsi al mattino.
- Si possono sperimentare sintomi come difficoltà di concentrazione e scarsa memoria.
- Demotivazione.
- Voglia di determinati cibi per calmare l’ansia.
La sindrome della capanna si manifesta spesso con un quadro emotivo specifico: tristezza, paura, angoscia, frustrazione.
La caratteristica più evidente, d’altra parte, è la paura di uscire, che spesso viene camuffata. Chi soffre di questa sindrome si limita a esprimere poca voglia di uscire perché sta bene in casa, dove c’è tutto quello di cui ha bisogno.
Che fare quando si ha paura di tornare alla normalità?
La sindrome della capanna è più diffusa di quanto non si pensi, infatti l’Università di Pechino ha già elaborato una scala per valutarne l’incidenza.
Non si tratta di una sensazione confortevole, soprattutto in un coro di persone che morde il freno per recuperare la propria vita, la normalità, la possibilità di uscire. È importante, quindi, comprendere e rispettare l’atteggiamento di chi, in questo momento, non aspetta con piacere la fase in cui potremo riprendere contatto con il mondo esterno. Ecco alcune strategie utili da seguire:
- Darsi tempo, le sensazioni provate sono comprensibili. Non è obbligatorio uscire oggi se non vi va. Potete procedere a piccoli passi. Cominciate arrivando al portone di casa, apritelo senza uscire. Domani potrete fare qualche passo e tornare indietro. Quando sarete pronti, potrete azzardare una passeggiata.
Come abbiamo detto, la sindrome della capanna non è un disturbo psicologico. Descrive semplicemente una situazione emotiva normale dopo un contesto di isolamento durato diverse settimane. Non alimentate, quindi, paura e ansia con il pensiero di aver perso il controllo della situazione. Le emozioni che provate sono del tutto comprensibili.
Abitudini e obiettivi
Il cervello ha bisogno di routine per gestire il tempo, sentirsi al sicuro e non dare troppo spazio alla ruminazione. Per ridurre gli effetti della sindrome della capanna, provate a:
- Ridurre il tempo del riposo, evitando di passare molte ore a letto o facendo lunghe pennichelle.
- Stabilire una routine e seguitela. Dividete la giornata in momenti di lavoro o pulizia della casa, tempo per mangiare in modo sano e fare esercizio fisico. Stabilite un’ora in cui uscirete di casa.
- Cercare supporto se se ne avverte il bisogno. Se sentite che vi è impossibile varcare la porta o che il semplice fatto di immaginarvi in strada vi genera ansia, potrebbe essere il caso di cercare un aiuto professionale.
Attenzione a non confondere la sindrome con la prudenza
A questo dobbiamo aggiungere un’altra considerazione: il Coronavirus non è scomparso. Il rischio di contagio è ancora presente ed è comprensibile che la paura di ammalarsi aumenti l’insicurezza e il timore di uscire, la prudenza non è da confondere con la sindrome della capanna.
È assolutamente normale che si abbia ancora timore di uscire, soprattutto se al di fuori delle proprie mura domestiche conoscenti e sconosciuti non rispettano le norme emanate nell’ultimo decreto e non ci si sente al sicuro.
Questa condizione di confinamento quasi forzato, non dettata affatto da questa sindrome, si verifica specialmente nei ragazzi che vorrebbero sentirsi liberi di fare ancora attenzione a mantenere le giuste precauzioni e non possono perché resi ridicoli dagli altri, i quali si sentono più sicuri e più superficiali.
Purtroppo, ancora una volta e anche in questa confusione, bisogna fare i conti con fenomeni di bullismo e con il concetto di doversi adeguare con la massa per essere accettati e non sentirsi dire che si è scemi se si porta ancora la mascherina e si è ancora a debita distanza dagli altri.
Purtroppo, ancora una volta c’è da ribadire che “la mamma degli stolti è sempre incinta” e non bisogna sentirsi sbagliati.
Sindrome della capanna o meno, stiamo vivendo una situazione senza precedenti e in questi mesi dovremo affrontare molteplici sfide psicologiche.
Dobbiamo essere preparati, diventare più sensibili, più umani e stare vicino agli altri, in modo da superare insieme questa crisi.
Articolo a cura di Laura Imperato
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