La riapertura delle Borse cinesi, dopo lo stop per i festeggiamenti per il Capodanno lunare prorogato dalla paura del corona virus; è stato da panico: si parla di perdite intorno ai 420 miliardi di dollari; ovvero il momento del peggiore dalla bolla del 2015.
Per tentare di evitare il peggio, la banca centrale cinese ha iniettato 1.200 miliardi di yuan (156 miliardi di euro) di liquidità sui mercati azionari mediante operazioni pronti contro termine.
Ciò si è tradotto anche in un taglio dei tassi, con un rendimento dell’asta a 7 giorni al 2,4% e dell’asta a 14 giorni al 2,55%.
Dal momento, però, che oggi venivano a maturare titoli per oltre 1.000 miliardi di yuan, ciò implica una iniezione netta di 150 miliardi.
Nel frattempo, mentre il bilancio dei decessi da coronavirus supera quello causato dalla Sars tra il 2002 e il 2003, sono almeno 24 tra province e municipalità cinesi, come Shanghai, Chongqing e il Guandong; che hanno rinviato la ripresa delle attività economiche e produttive a non prima del 10 febbraio per i timori di contagio del coronavirus di Wuhan.
Sono aree che nel 2019 hanno pesato per oltre l’80% in termini di contributo al Pil della Cina e per il 90% all’export.
L’Hubei, cuore dell’epidemia, non ripartirà prima del 14 febbraio, sempre che non si richieda una “appropriata estensione” del periodo di ferie; ha scritto venerdì il Quotidiano del Popolo.
Pesanti le ripercussioni anche sul fronte delle materie prime.
La domanda di petrolio da parte della Cina è crollata di circa 3 milioni di barili al giorno, pari al 20% del fabbisogno totale; a causa degli effetti sull’economia delle misure di contenimento adottate da Pechino per frenare l’epidemia di coronavirus.
Lo riporta Bloomberg che cita top manager di gruppi petroliferi cinesi e occidentali. Si tratta probabilmente del più severo shock subito dalla domanda di petrolio dalla crisi finanziaria, nel 2008-2009, e del più repentino dall’attacco alle Torri Gemelle.
L’opinione delle agenzie di raiting
Crescono intanto le preoccupazioni sulle conseguenze del coronavirus sull’economia cinese.
Preoccupazioni che si aggiungono al rallentamento già mostrato dal gigante asiatico durante il 2019 per via delle guerra commerciale con gli Stati Uniti.
Non sono esclusi inoltre effetti sull’economia mondiale.
Secondo le previsioni degli analisti dell’agenzia di rating Scope, l’economia cinese nel 2019 ha pesato per il 33% sulla crescita globale, mentre gli Usa solo per il 19%.
No ci sono dunque dubbi che il rallentamento dell’economia cinese impatterà certamente sulla crescita globale per il 2020.
Per gli esperti di Fitch, le conseguenze più immediate del corona virus in Cina avranno un impatto significativo sui rating di molte società; a partire da quelle esposte al turismo e ai viaggi.
Preoccupazioni arrivano anche dal rapporto di Moody’s Analitycs, da cui risulta che l’indice sulla frequenza attesa di fallimenti globali è cresciuto dal 4,4% del 17 gennaio al 4,84% del 29 gennaio ad un livello che non si vedeva dal 4,89% del 15 agosto 2019.