Molte donne convivono da sempre con la cosiddetta ritenzione idrica pur avendo provato di tutto per contrastarla.
Quella sensazione di pesantezza soprattutto alle gambe, che porta poi nel tempo alla comparsa dei vari segni clinici tipici della pannicolopatia edemato-fibrosa (cellulite).
Quindi ci si mette a dieta ristretta e rigorosamente senza sale, ignorando che il sodio risulti presente anche in altre fonti.
Il punto è che tutti questi sacrifici non portano a nulla e se c’è un accumulo di acqua in eccesso essa resta lì.
Ritenzione idrica
Si parla di ritenzione idrica quando è presente un eccesso di fluidi nel corpo, misurabili attraverso uno strumento definito bioimpedenziometro.
Esso ha lo scopo di quantificare i chili di acqua presenti nel corpo al momento dell’esame ed inoltre la loro suddivisione tra l’ambiente intracellulare e quello extracellulare.
Il compartimento extracellulare è quello di maggiorinteresse nella valutazione di un’eventuale eccesso di fluidi corporei.
Quando in percentuale esso supera il 44-45% si può definire la presenza di ritenzione idrica.
Un altro punto molto importante per capire da cosa dipenda questo accumulo risulta essere la valutazione del rapporto tra la massa metabolicamente inerte e quella metabolicamente attiva.
Nel caso tale rapporto risulti superiore ad 1 vorrà dire che sicuramente avremo in atto uno squilibrio dovuto a malnutrizione.
Essa può derivare da uno scarso valore proteico della dieta o da una scarsa massa muscolare in presenza di adiposità sopra la norma o ancora da eccessivo deficit calorico magari con una insulinemia fuori controllo.
Negli ultimi anni è stata introdotta una nuova metodica per la valutazione diretta dell’idratazione del soggetto in esame; tale metodica non richiede l’uso delle variabili antropometriche ad esclusione dell’altezza che risulta necessaria per standardizzare le misure ottenute dallo strumento.
In foto, è mostrato il significato del nomogramma ottenuto con questa nuova metodica (BIVA).
Come è possibile evitare la ritenzione idrica?
Ogni volta che mangiamo il nostro sangue cambia la sua composizione in rapporto agli alimenti ingeriti.
Una delle principali modificazioni dopo il pasto è la variazione della glicemia, cioè l’aumento della concentrazione di glucosio in milligrammi per decilitro di sangue.
Il glucosio
Il glucosio è la molecola di base dell’amido ed è contenuto nei carboidrati: pane, pasta, pizza, alimenti ottenuti con farina, dolci, frutta…
La variazione della glicemia dopo il pasto causa un aumento della secrezione dell’ormone insulina da parte del pancreas.
Il pancreas a sua volta interagisce con il sodio causando uno spostamento dei fluidi dai rispettivi compartimenti in maniera variabile da individuo a individuo.
Si capisce quindi che se non si controlla la glicemia e quindi l’insulina si andranno ad accumulare fluidi in maniera più o meno marcata.
Tale effetto è maggiore nei soggetti che hanno una percentuale di grasso sopra la norma dal momento.
Un eccesso di grasso si traduce in una diversa e peggiorata sensibilità all’insulina che quindi dovrà essere prodotta in maggior quantità per sortire lo stesso effetto ed abbassare la glicemia facendo entrare il glucosio nelle cellule.
La conclusione della massaia sarebbe quella di evitare di consumare alimenti ricchi in carboidrati per evitare quanto detto sopra.
Così facendo però può esserci il cosiddetto metabolismo lento o bloccato.
Alimenti proteici
Un altro problema è che non solo gli alimenti con carboidrati fanno aumentare la secrezione dell’insulina ma anche gli alimenti proteici come pure il latte e i suoi derivati.
L’insulina non è quindi un vostro nemico, ma va usata nella maniera giusta nel suo ruolo di ormone anabolico.
Migliorando la qualità della dieta, tenendo sott’occhio i cibi insulinogeni e non solo quelli ad alto indice glicemico, monitorando l’andamento mediante bioimpedenziometria si può eliminare la ritenzione idrica in modo sano e senza intercorrere in modificazioni metaboliche deleterie.
Articolo a cura di Dott. Pasquale Napolitano
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