Come preannunciato lo scorso articolo, oggi tratteremo di un argomento alquanto complesso e non proprio di facile comprensione. Tutti avete sentito parlare del famoso Indice Glicemico degli alimenti ma quanti di voi sanno bene cosa indichi questo parametro?
Dunque partiamo dal fatto che quando si assume del cibo, questo dopo essere stato digerito entra in circolo nel torrente ematico sotto forma dei suoi costituenti che sono stati smontati e ridotti. Questo fa sì che nel sangue vi sia un aumento di sostanze e focalizzandoci sui carboidrati, di zuccheri. Gli zuccheri non possono restare a lungo in circolo ma devono essere rimossi e questo avviene mediante l’azione dell’insulina la quale agisce su specifici recettori presenti sulla membrana cellulare dei muscoli (i recettori GLUT-4) e consente la captazione del glucosio circolante e il suo immagazzinamento fino alla saturazione delle possibilità di accumulo. Quanto appena descritto avviene in condizione ideale la quale vede una “ricarica” a seguito di un utilizzo da parte dei muscoli che quindi non avranno più disponibilità interna di glicogeno. In realtà la cosa è più complessa di così ma teniamo per buona questa semplificazione.
L’INDICE GLICEMICO
Quando mangiamo, abbiamo visto che andiamo ad aumentare la concentrazione di glucosio nel sangue scatenando tutto il processo sopra descritto, ma questo in quanto tempo avviene?
Ed ecco allora che si delinea la definizione basica di indice glicemico: l’indice glicemico (GI) indica la velocità di innalzamento della glicemia (glucosio circolante nel sangue) a seguito dell’ingestione di un quantitativo di alimento contenente 50g di carboidrati, rapportato ad un alimento di riferimento come 50g di glucosio o 50g di pane bianco.
Si capisce bene come, assodato che il glucosio in circolo non può restare oltre il quantitativo fisiologico, se risulta una eccessiva presenza nel torrente ematico che pur saturando le riserve che sono state ridotte resta alta, tale eccesso venga convertito in trigliceridi nel fegato.
Ingrassare non è però l’unico problema: avere picchi di glucosio circolante o una costante alta concentrazione ematica, porta ad una riduzione dell’espressione dei GLUT-4 con conseguente aumento della necessità di secrezione insulinica per tenere a bada il glucosio raffigurando il quadro di insulino- resistenza che nel tempo porta alla sindrome metabolica come in un domino di reazioni.
Come si può osservare dal grafico, quando c’è un picco in alto della glicemia perché magari si è mangiato troppo, questo porta ad effetto rimbalzo definito ipoglicemia reattiva, che porta a fame, nervosismo e sensazione di vuoto. Questa sensazione porta a mangiare di nuovo con conseguente ulteriore picco in alto e poi picco in basso. Capite bene quanto questo andamento non sia salutare per l’organismo che reagisce immagazzinando gli eccessi sotto forma di grasso per auto-tutelarsi.
IL CARICO GLICEMICO
L’indice glicemico è un argomento ormai obsoleto nella sua accezione di previsione dell’andamento della glicemia in quanto più un concetto “puro” che pratico. Per capirlo basta guardare alla sua definizione quando parla di “…quantitativo di alimento contenente 50g di carboidrati…”.
Si evince come non sia solo la qualità dei carboidrati ad influenzare la reazione dell’organismo in risposta all’assunzione di alimento amidaceo ma anche la quantità che si assume. Esempio di queste considerazioni è l’anguria, che presenta un GI alto (75) ma avendo solo 7.5g di carboidrati per 100g risulta in un Carico Glicemico decisamente basso o medio-basso e più precisamente ipotizzando una fetta da 300g avremo un CG di 16.9.
Quindi il carico glicemico tiene conto non solo dell’indice glicemico ma anche della quantità di carboidrati presenti nell’alimento e quindi è definito dalla formula:
CG = GI (indice glicemico) x quantità di carboidrati nella porzione di alimento / 100
Valori fino a 10 definiscono un CG BASSO;
Da 11 a 19 il CG sarà MEDIO;
Mentre da 20 in su il CG sarà considerato ALTO;
INDICE INSULINICO E CARICO INSULINICO
Con gli anni si è superato anche il concetto di carico glicemico, perché si è osservato che non solo i carboidrati fanno innalzare la glicemia e l’insulina, ma anche le proteine e i grassi in minor parte. Si è quindi andati a valutare secondo gli stessi criteri definiti con il GI e i CG, la risposta insulinica derivante dall’assunzione degli alimenti. Questi due indici hanno notevole interesse per chi si occupa di nutrizione e vanno tenuti bene in mente nella formulazione di un piano nutrizionale soprattutto in caso di obesità dove con buone probabilità è già presente un’alterazione ormonale. Nel quotidiano e per chi vuole mantenersi in forma senza troppe alchimie, basta considerare il carico glicemico della giornata.
APPLICAZIONI PRATICHE
Come detto, senza stare lì a farsi troppi calcoli, è importante mantenere la curva glicemica il più costantemente possibile entro i valori fisiologici. Questo lo si fa mangiando cibi a basso indice e carico glicemico e limitando il più possibile gli alimenti che fanno alzare rapidamente la glicemia.
Dal momento in cui non mangiamo un singolo prodotto ma un pasto completo, non si può ragionare più sulla base esemplificativa sopra esposta, ma si deve ragionare di insieme. Sapendo inoltre che la cottura e la conservazione influiscono sui parametri in gioco, il consiglio è di non cuocere troppo gli alimenti amidacei ma mantenere una cottura al dente.
Formulare il pasto fornendo tutti e tre i macronutrienti nella proporzione idonea ed abbinare sempre una porzione di verdura (100-300g). Il ragionamento è dato dal fatto che le fibre riducono la velocità di “smontaggio” dei carboidrati abbassando il carico glicemico del pasto; questo vale anche per l’integrale che però dev’essere vero integrale e non un alimento comune con qualche percentuale di crusca aggiunta.
Aggiungere grassi e proteine riduce il carico glicemico e l’indice glicemico del pasto ma aumenta gli indici insulinici quindi meglio non sostituire i carboidrati con proteine e grassi altrimenti si va a dis-regolare la secrezione e il funzionamento insulinico portando ad alterazioni metaboliche che fanno mettere su la pancetta.
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